“Con il senno di poi, rifaresti questo lavoro?”
Tutti e tre, senza esitazioni, hanno risposto alla stessa maniera
“Si, perché è un lavoro bellissimo”

Il settore primario in Sardegna, nello specifico agricoltura, pesca e pastorizia, attualmente offre lavoro all’8,7% dei lavoratori isolani.
Nel corso dei secoli la prevalenza di avvenimenti storici, quali malaria e incursioni, hanno favorito l’abbandono delle coste e delle terre più fertili della pianura, causando un calo consistente delle attività legate all’agricoltura e alla pesca, con il conseguente e progressivo ripiegamento verso lo stato pastorale.
L’attività pastorale nella società sarda ha origini antiche e la sua forte valenza culturale, ambientale ed economica ha da sempre contraddistinto la Sardegna nello scenario nazionale.
Il “Piano di Rinascita” approvato dal Parlamento agli inizi degli anni 60 con lo scopo di finanziare e agevolare l’industrializzazione della Sardegna, sancì l’inizio della crisi del fragile comparto primario sardo.  
L’industrializzazione, voluta anche per indebolire le strutture socio-economiche agro-pastorali che si pensava alimentassero il fenomeno del banditismo, fallì, provocando ulteriore disgregazione sociale e una limitata trasformazione agricola del territorio. Tanti agricoltori negli anni a seguire, stremati dalla precarietà lavorativa ed economica, lasceranno i campi per entrare a lavorare nelle fabbriche, capaci dalla loro di garantire una retribuzione sicura.
Anche la Laguna di Santa Gilla, per estensione e rilevanza della biodiversità una delle più importanti aree umide d’Europa, subì l’avanzata dell’industria, nata proprio a ridosso delle sue sponde. I confini naturali furono profondamente alterati dalle opere di bonifica a cui fece seguito la nascita dell’area industriale di Macchiareddu e l’urbanizzazione di aree limitrofe, riducendo di un quarto la sua superficie originaria.  Il riversamento di scarichi industriali e civili alterarono la qualità delle acque a danno della fauna ittica, causando enormi disagi al comparto ittico presente nella laguna.        Centinaia di pescatori lasceranno le loro imbarcazioni per diventare operai proprio di quell’industria che occupò le sponde della loro laguna. Solo negli anni 90, grazie ad importanti interventi di recupero ambientale, verrà ripristinata l’attività produttiva nella laguna.
A causa della costante crisi che attanaglia il comporto primario sardo, negli ultimi decenni si è assistito alla riduzione delle opportunità lavorative, con conseguente diminuzione degli occupati, aggravando la situazione socio-economica isolana. Parallelamente è invece cresciuta la manodopera extra-familiare, portando alla luce uno dei più grandi problemi del comparto in Sardegna: il ricambio generazionale.  Il settore primario ad oggi continua ad essere poco attrattivo per i giovani, soprattutto se questi non provengono da famiglie tradizionalmente agricole.
Le storie di Francesco, Davide e Tarcisio rappresentano migliaia di agricoltori, allevatori e pescatori sardi che, pur fronteggiando difficoltà, lavorano duro quotidianamente mantenendo vivo un settore che per secoli è stato il motore trainante dell’economia isolana. 
Nosu biveus po lassai arrastu è l’esplorazione di un mondo arcaico, ricco di storia e tradizione, attraverso una fotografia nostalgica e poetica, con l’obiettivo di salvaguardare quel sentimento del ricordo, capace di produrre una tensione emozionale tra presente e passato.
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